Famiglia

I bambini salvati dall’inferno

La testimonianza di don Mario Pérez, missionario da 21 anni in Congo.

di Paolo Manzo

“Pochi giorni fa abbiamo accolto 30 bebè, di poche settimane, salvati dall’inferno di Bunia, dove sarebbero stati certamente uccisi. Non è che qualcuno in Italia li vuole adottare?”. Esordisce con un appello alle nostre coscienze don Mario Pérez, missionario venezuelano da 21 anni in Congo, nonché responsabile del Centro salesiano Don Bosco di Goma, città a pochi chilometri dal confine con il Ruanda. Il problema che più assilla don Pérez è recuperare cibo. Ogni settimana se ne consumano oltre tre tonnellate. «In tutto abbiamo una quarantina di neonati che hanno bisogno di molto latte, avendo quasi tutti perso le madri. Pensi che, una ventina di minuti fa, è nato un bebè da una bambina violentata. Una bambina di neanche 15 anni?». Pochi giorni fa al Centro salesiano di Goma è arrivato un bambino di un anno che era stato sotterrato vivo. Meno male che gli avevano lasciato la testa fuori e una suora l?ha visto e ha avuto il coraggio di tirarlo fuori. «Adesso ha così tanta paura che non riusciamo neanche a mettergli i vestiti addosso. Nonostante abbia solo un anno, porta dentro di sé ferite difficilmente rimarginabili», spiega don Pérez, che ne approfitta per lanciare un?accusa: «Il Congo è in guerra da anni, ma sui mass media se ne parla poco o nulla. I morti delle Torri Gemelle “valgono” centinaia di migliaia di volte più di quelli africani, se è vero che qui la guerra ha già mietuto milioni di vite?». Ogni giorno, al Centro di don Mario arrivano sfollati e bambini soldato: «nel nostro Centro ospitiamo 1.500 bambini. Molti sono orfani, alcuni hanno perso la madre durante il parto, quasi tutti entrambi i genitori durante la fuga. Ma qui ogni bambino ha la sua tragedia alle spalle, che cerca di superare seguendo le scuole e imparando un mestiere. A ?gestire? i 1.500 bambini siamo quattro religiosi e 27 laici, tra personale pagato e volontari. Questa è una città di bambini, con molta vita e varietà durante il giorno». Nonostante qui la vita sia una scommessa, don Mario è felice di essere da 21 anni in Congo perché «dove c’è più sofferenza, aumenta la solidarietà». Ma per lui la differenza più grande rispetto all’Occidente è la capacità di sopportazione dei congolesi: «Qui chi è denutrito non ti dice mai ?sto morendo, sono finito?, al massimo ti sussurra ?ho fame?. Ma sempre con il sorriso sulle labbra. E senza mai pronunciare la parola morte».


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